DELEGARE: TRA KAHNEMAN E GOLEMAN


Il concetto di delega interessa da sempre tutto il mondo aziendale.

Le ragioni sono facili da intuire: per consentire ad un’azienda di crescere e proliferare diventa fondamentale instaurare un processo che consenta di massimizzare gli sforzi individuali, in maniera tale che la forza lavoro non venga impiegata in attività poco produttive o che generano scarso valore aggiunto.

 

“evitate di impiegare collaboratori e partner

in attività poco produttive

o che generano scarso valore aggiunto”

Sebbene sulla carta sia semplice intuire la positività del delegare, all’atto pratico riscontriamo che spesso la tendenza è quella di non delegare oppure delegare troppo poco.

Di fronte a questo fenomeno, da professionisti che si occupano di lavorare con e dentro le aziende, ci siamo naturalmente posti la semplice domanda: “Perché?”

Perché l’attività del delegare, che la nostra mente razionale riconosce come positiva, al momento di essere messa in pratica incontra invece molte resistenze?

 

Volendo applicare un approccio scientifico si potrebbe tirare in ballo due autori, che peraltro condividono lo stesso nome di battesimo: Daniel Kahneman e Daniel Goleman.

Il primo è uno psicologo, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 2002, mentre il secondo è noto al mondo per il suo lavoro sull’intelligenza emotiva.

 

“i principali limiti che incontriamo

nel gestire ruoli complessi

sono di natura essenzialmente emotiva”

La grande importanza di Kahneman può essere riassunta in un concetto: nei nostri comportamenti quotidiani siamo molto meno razionali di quel che crediamo. Integrando i suoi studi con quelli di Goleman sull’intelligenza emotiva possiamo spingerci inoltre ad esprimere un’altra idea: i principali limiti che incontriamo nel gestire ruoli complessi sono di natura essenzialmente emotiva.

Il punto è proprio questo: l’attività di delega è un processo complesso, in quanto non siamo più direttamente coinvolti nell’attività e non è semplice far sì che le performance siano soddisfacenti.

Il tipo di stato emotivo ostacolante che il delegare può causare ha quindi a che vedere con la paura di perdere il controllo su un qualcosa e quindi di ottenere un risultato insoddisfacente. Un modo di dire tipico che manifesta questo problema è quando diciamo o pensiamo cose del tipo: “Faccio prima a fare da solo che a spiegare ad un altro come si fa!”.

Come fare quindi per risolvere il dilemma? Il punto di partenza può essere un’onesta affermazione: “Si, è vero che faresti prima a fare tu, e probabilmente lo faresti anche meglio, ma così facendo non crei apprendimento. Così facendo resti sempre più invischiato in attività che ti impediscono di creare un vero valore aggiunto”.

Secondo la nostra esperienza il vero punto di svolta è in sostanza accettare un fatto: è perfettamente normale che all’inizio il processo di delega porti risultati inferiori rispetto all’organizzazione del lavoro precedente. Questo è normale perché per generare apprendimento e competenza servono energie ma anche tempo.

 

“una sensazione di stupore

è ciò che si prova quando nuovi processi

favoriscono efficacia ed efficienza”

 

Serve investire per ottenere una crescita, tuttavia quando questa avviene l’azienda acquista nuovi processi che aumentano esponenzialmente efficacia ed efficienza.

Chi è riuscito a portare a termine questo processo lo sa benissimo: la sensazione di stupore è simile a quella di chi ha visto una pianta crescere ed ancora fatica a credere come da un sottile arbusto sia potuto emergere un albero così maestoso.